Il DISFACIMENTO stadio supremo del pensiero borghese, di Guy Debord

Presentiamo su Civiltà perdute un testo dello studioso Guy Debord.
E' tratto da un suo saggio pubblicato a Parigi nel 1957, Rapport sur la costruction des situations et sur le conditions de l'organisation et de l'action de la tendance situationniste internationale, "Rapporto sulla costruzione delle situazioni e sulle condizioni dell'organizzazione e dell'azione della tendenza situazionista internazionale."
E' sorprendente rendersi conto di come questo scritto già prefigurasse la crisi del moderno e la fine delle sue "grandi narrazioni storico-artistiche", nonostante sia visibilmente datato (si parla ancora di Parigi come polo della cultura occidentale!). Ciò che dal 1979 in poi, grazie al contributo di Lyotard, si sarebbe chiamato "postmoderno" era già nel nocciolo di questo discorso di Debord, e nel suo utilizzare il termine "disfacimento" per definirlo.
Quel disfacimento che sarebbe stato ben percepibile – dopo la sbornia dei "favolosi" anni sessanta – nei decenni successivi, fino ad arrivare a noi, ovvero una società senza più alcun tipo di cultura quantificabile, ma tutta…mercificabile.


guy debord_civiltà perdute

[…] La cultura detta moderna ha i suoi due centri principali a Parigi e a Mosca. Le mode irradiate da Parigi, nella cui elaborazione i francesi non costituiscono la maggioranza, influenzano l'Europa, l'America e gli altri paesi evoluti dell'area capitalista come il Giappone. Le mode imposte burocraticamente da Mosca influenzano la totalità degli Stati operai e, in misura minore, reagiscono su Parigi e sulla sua zona di influenza europea. L'influenza di Mosca è di origine direttamente politica. Per spiegarsi l'influenza tradizionale ancora mantenuta da Parigi, bisogna tenere conto di un vantaggio acquisito nella concentrazione professionale.

Il pensiero borghese perduto nella confusione sistematica, quello marxista profondamente alterato negli Stati operai, il conservatorismo regna a est e a ovest, principalmente nel campo della cultura e dei costumi. Esso si mette in mostra a Mosca, riprendendo gli atteggiamenti tipici della piccola borghesia del XIX secolo. Si maschera a Parigi da anarchismo, cinismo o humour.

Benchè le due culture dominanti siano fondalmentalmente inadatte ad abbracciare i problemi reali del nostro tempo, si può dire che l'esperienza si è spinta più oltre in Occidente, e che l'area di Mosca figura come una regione sottosviluppata in questo ordine della produzione. Nell'area borghese dove, nell'insieme, un'apparenza di libertà intellettuale viene tollerata, la conoscenza del movimento di idee o la versione confusa delle molteplici trasformazioni dell'ambiente, favoriscono la presa di coscienza di uno sconvolgimento in atto, le cui energie sono incontrollabili. La sensibilità corrente tenta di adattarsi, impedendo nuovi cambiamenti che le sono, in ultima analisi, necessariamente nocivi.

Le soluzioni proposte contemporaneamente dalle correnti reazionarie si riducono inevitabilmente a tre atteggiamenti: il prolungamento delle mode prodotte dalla crisi dadasurrealistica (che è solo l'espressione culturale elaborata di uno stato d'animo che si manifesta spontaneamente dappertutto quando crollano, dopo i modi di vita del passato, le ragioni di vita fino allora ammesse); l'adagiarsi sulle rovine mentali; infine il ritorno all'indietro. Per quanto riguarda le mode persistenti, una forma annacquata di surrealismo si incontra dappertutto. Questa forma possiede tutti i gusti dell'epoca surrealista e nessuna delle sue idee. La ripetizione è la sua estetica. I resti del movimento surrealista ortodosso, in questo stadio senile-occultistico, sono tanto incapaci di avere una posizione ideologica quanto di inventare alcunchè; sostengono ciarlatanerie sempre più volgari, e ne reclamano altre.

L'adagiarsi sulle "nullità" è la soluzione culturale che s'è fatta conoscere con maggiore forza negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale. Lascia la scelta tra due possibilità che sono state largamente illustrate: la dissimulazione del nulla per mezzo di un vocabolario appropriato, oppure la sua affermazione disinvolta.

La prima scelta è celebre soprattutto dai tempi della letteratura esistenzialista, che riproduce, sotto l'apparenza di una filosofia d'accatto, gli aspetti più mediocri dell'evoluzione culturale dei trent'anni precedenti, sostenendo il proprio interesse di origine pubblicitaria per mezzo di contraffazioni del marxismo e della psicanalisi; o anche attraverso impegni e defezioni politiche ripetute alla cieca. Questi procedimenti hanno avuto un gran numero di seguaci, ostentati o nascosti. La duratura pervasività della pittura astratta e dei teorici che la definiscono, è un fenomeno della stessa natura, della medesima ampiezza. L'affermazione gioiosa di una perfetta "nullità" mentale costituisce il fenomeno che viene chiamato, nella neo-letteratura recente, "il cinismo dei giovani romanzieri di destra". Questo fenomeno si estende ben oltre la destra, i romanzieri e la loro giovane età.

Tra le tendenze che reclamano un ritorno al passato, la dottrina del realismo socialista si mostra la più ardita perchè, pretendendo di appoggiarsi sulle conclusioni di un movimento rivoluzionario, può sostenere nel campo della creazione culturale, una posizione insostenibile. Alla conferenza dei musicisti sovietici, nel 1948, Andrei Zdanov scopriva il gioco della sua repressione teorica.

In presenza di questa liquidazione della pittura e di molte altre liquidazioni, la borghesia occidentale evoluta, constatando il crollo di tutti i sistemi di valori, punta sul disfacimento ideologico completo, per reazione disperata e per opportunismo politico. Al contrario, Zdanov, con il gusto caratteristico del parvenu, si riconosce nel piccolo borghese che è contro la decomposizione dei valori culturali del secolo scorso, e non vede altra strada se non una restaurazione autoritaria di quei valori.

Egli manca sufficientemente di realismo da credere che circostanze politiche effimere e localizzate conferiscano il potere di eludere i problemi generali di un'epoca, se lo si costringe a riprendere lo studio di problemi superati dopo avere escluso, per ipotesi, tutte le conclusioni che la storia ha tratto da questi problemi, nel loro tempo.

La propaganda tradizionale delle organizzazioni religiose e principalmente del cattolicesimo è vicina, per la forma e per qualche aspetto del contenuto, a questo realismo socialista. Attraverso una propaganda invariabile, il cattolicesimo difende una struttura ideologica d'insieme che è il solo, tra le forze del passato, a possedere ancora. Ma per riconquistare i settori, sempre più numerosi, che sfuggono alla sua influenza, la Chiesa cattolica persegue, accanto alla sua propaganda tradizionale, l'assoggettamento delle forme culturali moderne, principalmente quelle che rientrano nella "nullità" teoricamente complessa: la pittura cosiddetta informale per esempio. I reazionari cattolici hanno, in effetti, questo vantaggio sulle altre tendenze borghesi per cui, assicurata una gerarchia di valori permanenti, gli è tanto più facile spingere il disfacimento all'estremo nella disciplina in cui si distinguono.

La conclusione attuale della crisi della cultura moderna è la decomposizione ideologica. Niente di nuovo si può costruire su queste rovine, e il semplice esercizio dello spirito critico diventa impossibile, poichè ogni giudizio urta con gli altri, ciascuno si riferisce a resti di sistemi d'insieme desueti, oppure a imperativi sentimentali personali. Il disfacimento si è esteso a tutto. A questo punto si vede l'impiego massiccio della pubblicità commerciale influenzare sempre di più i giudizi sulla creazione culturale, ciò che era un processo antico. Si è arrivati a uno stato di assenza ideologica in cui agisce solo l'attività pubblicitaria, escluso ogni giudizio critico preliminare, ma non senza suscitare un riflesso condizionato del giudizio critico.

Il gioco complesso delle tecniche di vendita comincia a creare, automaticamente e con la sorpresa generale degli esperti, degli pseudo soggetti di discussione culturale. E' l'importanza sociologica del fenomeno Sagan-Drouet, esperienza portata felicemente a termine in Francia negli ultimi tre anni, e la cui eco avrebbe oltrepassato i limiti dell'area culturale imperniata su Parigi, suscitando l'interesse degli Stati operai. I giudici della cultura, in presenza del fenomeno Sagan-Drouet, percepiscono il risultato imprevedibile di meccanismi che sfuggono loro, e lo spiegano generalmente con i procedimenti pubblicitari del circo. Ma, a causa del loro mestiere, si trovano costretti a opporsi con ombre di critiche a questi fantasmi di opere (un'opera il cui interesse è inspiegabile costituisce d'altronde il soggetto più ricco per la critica confusionista borghese). Restano inevitabilmente ignari del fatto che i meccanismi intellettuali della critica erano loro sfuggiti molto tempo prima che altri meccanismi esterni venissero a sfruttare questo vuoto.

Drouet_Sagan_Debord

Si guardano bene dal riconoscere in Sagan-Drouet il risvolto ridicolo della trasformazione dei mezzi di espressione in mezzi di azione sulla vita quotidiana. Questo processo ha reso la vita dell'autore sempre più importante relativamente alla sua opera. Poichè il periodo delle espressioni importanti è giunto alla sua riduzione estrema, non rimane come possibilità d'importanza che il personaggio dell'autore, la sua età, un vizio alla moda, un vecchio mestiere pittoresco. Una opposizione sensata contro il disfacimento ideologico non deve soffermarsi a criticare le buffonerie presenti nelle forme ormai condannate, come la poesia e il romanzo. Bisogna criticare le attività importanti per l'avvenire, quelle di cui noi ci dovremo servire.

E' un segno ben più grave del disfacimento ideologico attuale vedere la teoria funzionalista dell'architettura fondarsi sulle concezioni più reazionarie della società e della morale. Vale a dire che a contributi parziali provvisoriamente validi del primo Bauhaus oppure della scuola di Le Corbusier si aggiunge, di contrabbando, una nozione eccessivamente arretrata della vita e del suo ambito. Tutto indica, dal 1956, che noi stiamo entrando in una nuova fase della lotta, e che una spinta di forze rivoluzionarie, che si urta su tutti i fronti con gli ostacoli più scoraggianti, comincia a cambiare le condizioni del periodo precedente. Si può vedere, allo stesso tempo, il realismo socialista arretrare nei paesi dell'area anti-capitalista, insieme alla reazione stalinista che lo aveva prodotto; la cultura Sagan-Drouet segnare uno stadio probabilmente insuperabile della decadenza borghese; infine assistere a una relativa presa di coscienza, in Occidente, dell'esaurimento degli espedienti culturali che sono serviti dalla fine della seconda guerra mondiale. La minoranza d'avanguardia può ritrovare un valore positivo […]

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